L’icona indiscussa dell’arte moderna, oggi conservata al museo d’Orsay, ha suscitato a suo tempo uno scandalo. Perché? Perché era l’immagine di una donna vera, mentre il quadro faceva parte dei codici della grande pittura… Ora vi spiego!

Nel 1863, Victorine Meurent, la modella preferita di Edouard Manet negli anni sessanta, posò per questo nudo, considerato all’epoca il più scandaloso nudo femminile mai dipinto. Manet, avendo previsto una reazione, ha esitato a lungo ad esporre questa opera e decise di farlo solo su richiesta dello scrittore Charles Baudelaire. L’opera fu accettata al Salon ufficiale¹ del 1865, solo perché la giuria temeva l’organizzazione di un nuovo Salon des refusés², come nel 1863.
Quando l’Olympia si confrontò per la prima volta con l’opinione pubblica al Salon del 1865, ci fu uno sfogo di indignazione contro di essa… Ha dovuto essere spostata e appesa alle pareti più alte per evitare l’ira di un pubblico critico. Questa cortigiana sdraiata nuda su un letto, con una donna nera che portava un mazzo di fiori e un gatto nero, provocò una rivolta, fu ridicolizzata e insultata con una rara violenza, che evidentemente colpì Manet.
Il soggetto fa tuttavia parte della tradizione del nudo femminile coltivato dai grandi maestri come Tiziano, Goya, ma anche da pittori accademici dell’epoca, come Ingres o Cabanel e la sua Nascita di Venere, acquisita da Napoleone III al Salon del 1863, perchè seguava alla perfezione le caratteristiche del classicismo.



Ma mentre questi nudi sono stati accettati grazie al loro tema mitologico, allegorico o simbolico, Manet dipinge il ritratto di una prostituta messa in scena come tale. Il titolo stesso rende esplicito il soggetto (Olympia era un soprannome comune tra le cortigiane dell’epoca), così come il gattino nero sulla destra, allusione erotica e ovvia metafora di ciò che si nasconde sotto la mano, o il mazzo di fiori tenuto in primo piano dalla cameriera nera. Questo bouquet, certamente inviato da un amante, fu sentito all’epoca come una provocazione suprema da parte di Manet.
Il trattamento del corpo è stato un altro motivo di scandalo. La mostra “Manet. Ritorno a Venezia” nel 2013 ha permesso all’Olympia di confrontarsi anche con il quadro che ha ispirato Manet durante un viaggio a Firenze: la Venere di Urbino di Tiziano. La composizione dell’Olympia si ispira in gran parte a quest’opera italiana, ma il nudo è molto diverso: qui non c’è idealizzazione, poca modellazione e un trattamento in zone piane circondate dal nero che va contro i principi accademici di una pittura liscia che non lascia tracce.


Infine, l’audacia di questa donna, il suo sguardo schietto e franco, sono stati sentiti come un’ulteriore provocazione da parte dell’artista; si vedeva l’evidente influenza delle fotografie delle prostitute dell’epoca. Ciò che colpì i migliori critici dell’epoca, però, non fu il soggetto – provocatorio, certamente – ma l’incredibile “pezzo di pittura”.
“Siete riusciti mirabilmente a fare un’opera di pittore, di un grande pittore […] a tradurre con energia e in un linguaggio particolare le verità della luce e dell’ombra, le realtà degli oggetti e delle creature”, scrive Emile Zola.
L’obiettivo di Manet quando dipinge l’Olympia non era quello di provocare, il suo approccio era sincero: “Ho fatto quello che ho visto”, scrisse per autodifesa. Ma Olympia è un’opera di rottura, è l’ultima pietra miliare di una tradizione che risale al Rinascimento italiano. Apre la strada alla modernità, alle immagini di una realtà contemporanea non idealizzata ma realistica, che anche gli impressionisti rivendicheranno.
Anche se violentemente criticata, l’opera fu offerta allo Stato nel 1890 grazie ad una partecipazione pubblica organizzate da Claude Monet, che ci permette oggi di ammirare il dipinto al Museo d’Orsay… beh non ora, per il momento restiamo a casa… come Venere 😉